Le bugie non si dicono, neanche a fin di bene. Però…

Le bugie non si dicono, neanche a fin di bene. Però…

La “notizia” dell’altro ieri, che avrete letto sui vari social esattamente così come ora leggete questo, riguardava l’abbandono dell’insegnamento della Storia dell’Arte nella scuola italiana. In questo spazio noi siamo di parte, ovviamente, e se nella riga sopra ho scritto storia dell’arte con le maiuscola non è per enfasi, ma perché noi siamo abituati a leggere questa espressione sui piani di studio, in documenti e circolari di università e provveditorati, nei bandi di concorso eccetera. Siamo insomma di parte perché osserviamo il fenomeno dal “di dentro”, da quelli che sono, o sarebbero, i “mestieri” della cultura. Riconosciuti o meno.

Era una bufala, in termini tecnici. Una delle tante scintille postume di un fuoco che avrebbe dovuto divampare anni fa, ai tempi della riforma Gelmini (2008), quando però facebook era assai meno invasivo e i meme neppure esistevano (bellissimo quello su Federico da Montefeltro e Battista Sforza, bellissimo nda). Anche il fatto che l’emendamento Costantino per il reintegro delle ore depennate dalla precedente riforma sia stato in verità discusso a settembre e bocciato in ottobre dell’anno scorso (nonostante il parere favorevole del ministro Bray e della ministro Carrozza) sancisce senza equivoco l’assunto che l’infiorata di indignazione di mercoledì scaturisse in realtà senza un coerente filo logico e tempistico.

Però.

La riforma Gelmini non fu antipatica per aver messo sotto il proprio mirino l’insegnamento della storia dell’arte. Di per sé, nei Licei Classici, a quanto mi risulta, le ore vennero addirittura aumentate. Fu piuttosto antipatico il fatto che esercitava un bilanciamento di quelle ore tra il vantaggio per i licei e una progressiva limitazione per gli istituti tecnico-professionali.

(Certo, anche il fatto che tagliasse parecchi miliardi al finanziamento complessivo non era proprio una bellezza, infatti forse sarebbe stato più corretto chiamarla Riforma Tremonti, ma non divaghiamo)

Perché togliere o limitare la storia dell’arte dagli istituti tecnici e professionali ci sembrò e ci sembra molto grave, ed è in controsenso rispetto alle tendenze che noi continuiamo e continueremo a considerare come attuali e future: Sono 40 anni che esiste, nel campo degli studi “seri”, la consapevolezza che la conoscenza e il rispetto del potrimonio e dell’arte ha non solamente delle funzioni civilizzanti, ma anche di integrazione e di riconoscimento per gli studenti. L’integrazione non è materia unicamente di pertinenza di chi si occupa di migranti. L’integrazione riguarda ogni cittadino, nel rapporto con il proprio contesto urbano, territoriale, culturale, delle stesse istituzioni che lo governano.

Allora ci parve che la riforma arrivasse con protervia a riesumare una visione che direi più settecentesca che non ottocentesca, secondo la quale la storia dell’arte rimane quell’orpello, quel giocattolo delle classi ricche, superiori, colte, dirigenti. Insomma, fondamentalmente una perdita di tempo a fin di bene, che si spera generi un interesse dilettantistico di manager e dirigenti, che possano sviluppare da adulti, magari, un po’ di buon cuore per proteggere in qualche modo le istituzioni della cultura. Sempre bisognose di assistenzialismo, insomma.

Un hobby, una alternativa un poco più chic ai viaggi in Mar Rosso (detto con tutto il rispetto).

Cosa diavolo vogliono quelli degli istituti professionali? L’arte non deve mica entrare nelle loro vite.

Ora, io personalmente non vedo l’ora di potermi svegliare un giorno in un mondo libero dalla noia dei discorsi sulla “arte per tutti o solo per alcuni”. A parte questo, e a parte la buona salute e l’ampia diffusione, ancora oggi, dell’idea che il nostro rapporto con l’arte, alla fin fine, sia poco altro che un modo di passare il tempo, non è che per caso c’è un problema anche da un punto di vista semplicemente utilitaristico?

Voglio dire, prendendo due esempi a caso: vi pare che per uno che lavora in cucina, possa magari essere utile l’avere un senso del bello, o una qualche competenza estetica? E i geometri, i benedetti geometri (che la storia dell’arte non ce l’hanno mai avuta nel piano di studi e che se la devono studiare per i cavoli loro), quelli che da adulti dovranno occuparsi di integrazioni ai piani regolatori e dell’urbanistica delle città, non potrebbero perderlo, un po’ di tempo, a studiare il patrimonio storico artistico?

Ho portato in mostra ed in giro per musei e monumenti diverse centinaia di ragazzi, tra una cosa e un’altra. Ho portato liceali del classico, liceali dello scientifico (anche quelli dell’einstein, io serpierino), e ragazzi dei vari its, alberghieri e poli professionali vari. Immagino non ne sarete sorpresi, ma le domande più complicate arrivano più spesso dai secondi che non dai primi. E non si tratta di domande complicate perché stupide. Affatto.

Federico

 

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